TRATTAMENTO E BASI NEURONALI DELLA SCHIZOFRENIA
Da diverse ricerche svolte a partire dagli anni ‘50 sull'efficacia dei neurolettici e sui meccanismi neuronali e biochimici della schizofrenia, è emerso un forte coinvolgimento dei sistemi dopaminergici.
E’ noto che le fenotiazine, ed in particolare la clorpromazina - un composto affine alla prometazina, molecole prodotte nella prima metà del ‘ 900 dalla Rhone Poulenc come antiistaminico - svolgono un'attività neurolettica (o antischizofrenica), soprattutto per quanto riguarda i sintomi positivi della Schizofrenia, mentre non sembrano avere effetto sui sintomi negativi.
Tali farmaci neurolettici agiscono bloccando prevalentemente i recettori D2 dei neuroni post-sinaptici di tutte e tre le vie dopaminergiche: in altre parole i neurolettici impediscono alla dopamina di raggiungere i recettori D2, determinando quindi una diminuzione dell'attivazione di tali recettori e quindi dei neuroni postsinaptici sui quali si trovano.
L’inibizione dell'attività dopaminergica così indotta a livello nigrostriatale (la via dopaminergica che va dalla sostanza nera allo striato (nucleo caudato + putamen), determina sintomi simili a quelli del Morbo di Parkinson; inoltre l'uso prolungato dei neurolettici provoca un effettivo aumento del numero di recettori della dopamina, perlomeno nel corpo striato che, a lungo andare, diventa ipersensibile alla dopamina determinando nei pazienti una condizione definita Discinesia Tardiva, caratterizzata da un forte incremento dei movimenti della lingua, della bocca, delle braccia e delle gambe. Tale condizione non sempre si risolve dopo la sospensione dell'assunzione del neurolettico.
La riduzione dei sintomi positivi della Schizofrenia, invece sembra dipendere prevalentemente dall'inibizione dell'attività dei recettori postsinaptici D2 delle altre due vie dopaminergiche: il sistema mesocorticale e il sistema mesolimbico; è interessante notare il fatto che la somministrazione prolungata dei neurolettici non produce un aumento dei sintomi schizofrenici.
- Trattamento Psicologico
Per quanto riguarda il Trattamento Psicologico, con questi pazienti è molto difficile ottenere risultati di guarigione, ma molto può essere fatto per migliorare le condizioni di vita del paziente e il suo rapporto con la famiglia.
I farmaci, come abbiamo visto, possono agire solo sui sintomi positivi, rimangono però i sintomi negativi e soprattutto l’incapacità dei pazienti di costruire e mantenere relazioni non disturbate. In questo un aiuto può essere dato dal trattamento psicologico, che può aiutare il paziente ad attenuare l’intensa paura delle relazioni, offrendo un contenimento agli aspetti più patologici dell’individuo e facilitando l’espressione delle parti “sane”.
Molto utile risulta inoltre l’intervento sulla famiglia, specie il tentativo di liberarla dall’eccessivo coinvolgimento nella patologia, e il dare informazioni e sostegno su come affrontare e gestire la patologia nel modo più adeguato.
- Trattamento ospedaliero
Gabbard puntualizza che dopo una crisi psicotica acuta, il ricovero ospedaliero per un breve periodo di tempo concede una pausa al paziente, un’occasione per riorganizzarsi. Il cambiamento del contesto ambientale infatti rompe le dinamiche precedenti e determina una spinta antiregressiva. In tal modo viene ripristinata la funzionalità del paziente, in quanto egli deve adeguarsi al nuovo ambiente e a nuove relazioni (ad esempio il personale della struttura).
Un ricovero prolungato invece è utile ai pazienti che rifiutano i farmaci o non rispondono al trattamento farmacologico, ai pazienti particolarmente autodistruttivi o con tendenze suicide, o aggressivi, o a pazienti che non hanno risorse o sostegno nel proprio sistema ambientale.