JUNG E L’INCONSCIO


Fu Freud per primo ad avanzare, nell’ambito di un sistema teorico ben strutturato, l’ipotesi interpretativa della scissione tra psiche cosciente e psiche inconscia, ad opera del meccanismo difensivo della rimozione che allontana dalla coscienza quelle rappresentazioni troppo dolorose o incompatibili con le istanze interne (Io e Super-Io) o esterne (realtà) e legate a un ammontare affettivo che dall’inconscio preme verso il soddisfacimento dando origine al sintomo o al sogno.

Sia Freud che Jung erano costantemente in contatto col materiale inconscio che veniva dai racconti o dai deliri dei pazienti più gravi, materiale costituito da emozioni, ricordi di eventi infantili e di eventi traumatici e immagini archetipiche della psiche collettiva che si manifestavano attraverso i sogni o i sintomi.

Jung ha conosciuto il mondo dell’inconscio non solo attraverso la pratica clinica, ma anche in maniera diretta e personale, attraverso l’esperienza della propria sofferenza psichica.

Anche Jung indatti soffriva di quella che Ellenberger chiama “malattia creativa”:

«Una malattia creativa segue ad un periodo dominato da un’idea e dalla ricerca di una certa verità. Tale malattia creativa può presentarsi sotto varie forme: depressione, nevrosi, malattie psicosomatiche e anche psicosi; anche se il soggetto mantiene le sue attività sociali, egli è quasi interamente assorbito da se stesso; soffre di sensazioni di isolamento assoluto. La conclusione è spesso rapida e seguita da una fase di buon umore; il soggetto esce dalla sua sofferenza trasformato permanentemente nella propria personalità e con la convinzione di aver scoperto una gran verità…(Ellenberger 1970)».

A proposito dell’inconscio, Jung non ritiene che esso sia solamente un ricettacolo di esperienze infantili rimosse, ma anche il luogo di una psiche oggettiva legata allo sviluppo filogenetico della specie umana e caratterizzata da immagini archetipiche e collettive ( possedute da tutti gli uomini) che esprimono contenuti relativi all’uomo non in quanto individuo ma in quanto membro della specie umana.

L’uomo quindi è agito da una psiche oggettiva ereditaria, oltre che da contenuti inconsci derivanti dalla storia personale, ossia complessi che affondano le loro radici nel rapporto con i genitori e nella rimozione dell’istintualità.

Siamo eredi di una “memoria inconscia” che rappresenta la base delle esperienze fondamentali dell’uomo nella sua storia evolutiva.

Anche se inizialmente l’analisi tratta soltanto dell’infanzia del paziente, può accadere che in una fase più tardiva emergano immagini archetipiche, portando i vissuti personali a un livello di esperienza che appartiene all’intera umanità.

Jung quindi propone una distinzione tra:

- Inconscio personale che contiene tutto ciò che riguarda la storia del singolo individuo e corrisponde alla concezione freudiana di inconscio, come sede del rimosso.

- Inconscio collettivo (costituito dalle strutture psichiche definite “archetipi”): il suo contenuto è formato essenzialmente da archetipi ed è indipendente dal vissuto personale dell’individuo.

Quindi, così come l’inconscio personale è il luogo dei contenuti complessuali che derivano dalle esperienze infantili, l’inconscio collettivo è il luogo di strutture psichiche definite archetipi.

Secondo Jung la possibilità di entrare in contatto con certi contenuti inconsci è condizionata dalla forza dell’Io; più l’Io è forte e maggiore sarà la sua apertura verso l’inconscio.

 


TEORIA DEGLI ARCHETIPI  E DELL’INCONSCIO COLLETTIVO


La teoria degli archetipi non si presta ad essere formalizzata perché lo stesso Jung non la formula in modo univoco e definito; è un concetto che presenta quindi una certa ambiguità e indeterminatezza.

Jung definisce l’archetipo come una realtà tra il somatico e lo psichico. Da una parte pone le sue radici nell’istinto e cioè nella sfera organica, costituendo una predisposizione innata a determinate prestazioni psicologiche in reazione ad eventi universali quali ad esempio: la morte, la nascita, l’amore. Dunque tutti gli uomini di fronte a tali eventi universali rispondono con simili prestazioni psicologiche. D’altra parte l’archetipo è una categoria mentale a priori, una struttura strutturante sulla quale si struttura la conoscenza e che è legata alla dimensione immaginifica e spirituale.

Nel 1919 Jung fa una distinzione fra: Archetipo e Immagine archetipica.

  •  ARCHETIPO: è la struttura strutturante inconscia, considerata in entrambe le dimensioni sia  organica che psichica. Essa è in sé inconoscibile ed è possibile riconoscerne l’esistenza attraverso il suo farsi immagine, immagini che riflettono le esperienze collettive di tutta l’umanità. Gli archetipi quindi sono forme a priori, innate, che organizzano l’esperienza e che quindi sono alla base di “modelli innati di comportamenti e prestazioni psicologiche”.

L’apriorismo e l’innatismo dell’archetipo non contraddice il fatto che la sua dimensione immaginifica dipenda dalle influenze ambientali (cultura).

Tali strutture sono il risultato di progressive modificazioni del cervello umano intercorse durante lo sviluppo filogenetico: la teoria evoluzionistica viene estesa alla sfera psichica sottoforma di categorie innate della mente attraverso le quali vengono organizzate le immagini mutuate dall’ambiente.

  •  IMMAGINE ARCHETIPICA: è l’immagine che si forma sulla struttura strutturante “archetipo” dipendentemente dalla cultura d’appartenenza e quindi dall’esperienza; è da queste immagini che si può desumere, per via ipotetica, l’esistenza delle strutture archetipiche della psiche.

L’archetipo può attivarsi, e quindi manifestarsi attraverso un’immagine archetipica, sia a seguito di eventi esterni che interni all’individuo; questi ultimi sono i casi più frequenti.

Nel caso degli eventi esterni, non è difficile capire perché le popolazioni primitive, prive delle necessarie conoscenze scientifiche, fossero spinte a spiegare eventi naturali incomprensibili e incontrollabili attraverso mitologie e religioni, come riportato da Ellenberger. Anche oggi certi eventi sono in grado di attivare archetipi consolidatisi nel corso dello sviluppo filogenetico che danno origine a immagini archetipiche.

Secondo noi gli archetipi possono essere considerati come delle “strutture strutturanti” che si sarebbero formate per rispondere a bisogni fondamentale dell’essere umano, bisogni comuni a tutti gli uomini, per cui ogni archetipo potrebbe generare da un bisogno fondamentale.

Questa psiche oggettiva è intesa alla maniera lamarckiana. Infatti l’archetipo è il risultato dell’acquisizione permanente delle esperienze fondamentali degli antenati, che viene trasmessa ereditariamente. Cioè tali esperienze hanno determinato, nel corso dello sviluppo filogenetico, una certa conformazione del sistema nervoso, il quale dà origine a risposte universali di fronte a esperienze universali, a prescindere dalla razza, dalla cultura, dal tempo e dallo spazio.

In altre parole, ciò che viene ereditato non sono le immagini archetipiche, ma la possibilità di strutturarle secondo modalità geneticamente predeterminate: gli archetipi non sono dunque delle rappresentazioni inconsce ma sono strutture strutturanti di tali rappresentazioni.

Per sostenere tale teoria, detta teoria dell’inconscio collettivo, Jung ricorre al metodo dei parallelismi culturali, dimostrando che ogni gruppo etnico, di fronte a eventi universali come la nascita, la morte, l’amore ecc., risponde con simili modalità comportamentali ed espressive, come si può riscontrare dal confronto di mitologie, religioni, creazioni artistiche e dal confronto di questi con sogni, fantasie e deliri dei malati di mente.

Ad esempio, l’esperienza tragica della morte è stata elaborata attraverso il mito dell’immortalità: una tale elaborazione, diffusa in quasi tutte le culture, rappresenta un’immagine archetipica, strutturata su un archetipo.

Secondo Jung, l’inconscio collettivo, espressione delle strutture archetipiche, ha funzioni adattive di fronte ad angosce fondamentali, come quella per la morte propria o di chi si ama, che minaccerebbero di disintegrare la nostra identità, diminuendo le probabilità di sopravvivenza (la teoria evoluzionistica è qui applicata alla sfera psichica). Infatti, se di fronte alla morte della persona amata tutti ci lasciassimo prendere dalla disperazione e ci suicidassimo, la specie umana si sarebbe estinta decine di migliaia di anni fa. Quei popoli che sono riusciti ad elaborare l’idea dell’immortalità dell’anima, hanno sviluppato la capacità di superare collettivamente la paura della morte e l’angoscia della separazione, aumentando le probabilità di sopravvivenza.

Lo sviluppo della dimensione spirituale, che può esprimersi nei diversi sistemi religiosi, è altamente funzionale alla sopravvivenza: infatti tale dimensione sorregge l’individuo dall’interno e lo aiuta ad affrontare gli eventi più negativi della propria esistenza.

L’uomo ha assolutamente bisogno di idee e convinzioni generali che diano un significato alla propria vita e che gli permettano di individuare il suo posto nell’universo; è grazie a tali convinzioni che egli può trovare la forza di affrontare le più incredibili avversità.

Tutti attraversiamo nella vita dei momenti difficili, come quando compiamo delle difficili scelte di autonomia o quando perdiamo una persona amata, o quando siamo presi da un “ingiustificato” e agghiacciante terrore. Sono tutte situazioni dolorose universali (che riguardano l’intera umanità) vissute ogni volta come tragedie personali, ed è di fronte a situazioni del genere che nelle persone scattano meccanismi simili e funzionali alla sopravvivenza, come quelli relativi alla dimensione spirituale.

Vediamo  un esempio:

Frattura sentimentale e archetipo della morte intesa come passaggio da una fase esistenziale ad un’altra - E’ una delle esperienze più dolorose che ci possano capitare; quando amiamo una persona, siamo esposti al rischio della perdita e della separazione. Se l’oggetto amato viene a mancare abbiamo la sensazione di morire perché viene a mancare quella polarità relazionale sulla quale la nostra vita si reggeva, esattamente come l’elettricità si innesta tra due poli, per cui se uno viene disattivato l’energia non può fluire.

Solo quando investiamo la nostra libido su un altro essere umano e ne veniamo ricambiati, tale energia si sblocca e riprende a fluire dandoci la sensazione di vita rinnovata. Se l’altro viene meno soggiunge la sensazione e persino il desiderio di morire: tale desiderio però non è da intendersi come una vera volontà di morire. La morte è infatti intesa come una volontà di passaggio simbolico da una fase esistenziale ad un’altra, un momento di trasformazione. Tale immagine, della morte come passaggio o trasformazione, è archetipica ed è ricorrente in tutte le culture umane, e in questo caso viene attivata da una frattura sentimentale.

Se non riusciamo a dare un senso agli eventi, come quelli fondamentali della vita e della morte, sarà difficile affrontare le avversità della vita. Per far questo è necessario stabilire un legame profondo con la propria dimensione interna e cioè con quell’insieme di contenuti inconsci archetipici e complessuali che possediamo. Se non riusciamo a fare ciò, piomberemo nella disperazione e nell’angoscia più profonda: è per tale ragione che è necessario annettere al dominio dell’Io cosciente contenuti autonomi dell’inconscio. Tale difficile processo ci rende più forti rispetto all’assurdità del mondo interno ed esterno. E’quindi necessario interrogarsi su se stessi, cercare di conoscersi il più possibile a livello profondo, cercando di arrivare sin dove si può arrivare senza mai arrendersi. E’ grazie a tale impegno che i complessi dell’inconscio personale e gli archetipi dell’inconscio collettivo potranno liberare per noi delle energie positive.

Jung, pur non trascurando le determinanti personali, era maggiormente interessato alle determinanti collettive inconsce del comportamento. Nella sua vastissima opera sono numerosi gli studi condotti per dimostrare l’influenza di tali determinanti sullo psichismo umano: una particolare attenzione è data alle religioni di ogni cultura, considerate una filiazione diretta dell’inconscio collettivo e cioè di archetipi.

Riguardo alla teoria della personalità, Jung sostiene che sono le istanze psicologiche dell’inconscio collettivo a dar luogo alla singola personalità.


INCONSCIO PERSONALE: LA TEORIA DEI COMPLESSI


 Metaforicamente parlando, secondo Jung, l’inconscio personale è la sede dei complessi.

Il complesso è definito come “l’insieme delle rappresentazioni (immagini e idee) che si riferiscono a un determinato avvenimento a tonalità affettiva”.

Possiamo considerare il complesso come una personalità autonoma, un frammento scisso ed organizzato della psiche che si comporta come un e che è dotato di un’energia autonoma che lo rende indipendente dal sé abituale e che è abbastanza intensa da prenderne il posto.

Infatti, all’interno di una personalità, possono coesistere più personalità secondarie, più sé o parti scisse del sé, che, in determinate situazioni, possono prendere il sopravvento sulla personalità “normale”. Spesso un rapporto interpersonale o una situazione hanno la facoltà di attivare un complesso, per cui entra in gioco un aspetto psicologico della persona, poco coerente con l’abituale struttura psichica, e che ha la forza di imporsi e di organizzare il comportamento. In tal caso il soggetto si comporta come se fosse posseduto da una personalità autonoma. Ad esempio, se si conosce il punto debole di un individuo, si sa anche cosa fare per ottenere una certa reazione da esso. Così vediamo persone tranquille diventare irascibili e aggressive, persone generose mostrarsi avare e così via, perché abbiamo colpito e attivato un complesso a tonalità affettiva, abbiamo cioè attivato una personalità autonoma dotata di grande energia e che ha preso il posto di quella abituale (anche se solo momentaneamente).

In queste situazioni l’Io si trova in una situazione equiparabile al concetto giuridico di incapacità di intendere e volere.

I complessi non hanno in loro stessi un valore patologico; essi sono presenti in tutti gli uomini e sono sempre esistiti.

Un buon esempio di complesso è il complesso di inferiorità. Chi ne è posseduto vive pensando di essere inadeguato a tutte o alcune situazioni di vita: non si chiede se ciò corrisponde al vero, ma a forza di considerarsi così finisce col diventarlo sul serio.

Spesso i complessi si formano in seguito ad esperienze traumatiche occorse in età infantile: ne è un esempio il trauma assai diffuso dell’incesto.

 


L’ARCHETIPO DELL’OMBRA


L’Ombra rappresenta gli aspetti oscuri della personalità, il contraltare inconscio della Persona. Essa è l’insieme degli aspetti della personalità deplorati dal Super-Io e dalla coscienza collettiva e da cui generano sensi di colpa, vergogna, vissuti persecutori e autosvalutazione.

Spesso questi aspetti oscuri della personalità sono caricati di pregiudizi che ne ostacolano l’elaborazione cosciente. Lo stato naturale dell’ombra infatti è quello di essere rimossa dalla coscienza e difensivamente proiettata all’esterno, su soggetti o situazioni che ne forniscono l’aggancio.

Fintanto che è inconscia, l’Ombra è potente, carica di affettività distruttiva, autonoma, ossessiva e possessiva, ha il potere di disorientare l’Io e di destrutturare la Persona.

Per una naturale difesa dell’apparato psichico, e non per una scelta deliberata, gli aspetti dell’Ombra vengono allontanati dalla coscienza. Infatti, il presentare al mondo il nostro lato “migliore”, che dal punto di vista collettivo corrisponde alla Persona, ha un valore adattivo ed è funzionale alla sopravvivenza.

Tuttavia non è possibile procedere nell’evoluzione psichica se non si prende coscienza dei propri aspetti Ombra, che per difesa vengono rimosse impedendo il processo di individuazione ossia la realizzazione della totalità psichica e delle proprie potenzialità inconsce.

La stessa creatività appartiene all’archetipo dell’ombra che esprime i contenuti rimossi della coscienza collettiva, compreso tutto ciò che permette una differenziazione dai canoni culturali dell’epoca. L’Ombra dunque rappresenta anche l’origine del nuovo.

E’ molto doloroso riconoscere in se stessi tendenze negative, aspetti riprovevoli (alla coscienza collettiva e al Super-Io) e ci vuole molta forza e coraggio per elaborare coscientemente gli aspetti oscuri dell’Ombra.

L’esperienza della propria ombra è fondamentale per conoscere in profondità se stessi e quindi il mondo, non limitandosi ad una partecipazione superficiale. Tale esperienza rende maturi e rende possibile la comprensione di aspetti del mondo e di se stessi che prima sfuggivano o erano compresi solo parzialmente.

In relazione a quanto detto, l’Ombra può sottendere sia a un processo trasformativo della personalità, nel momento in cui l’individuo decide di elaborarne coscientemente i suoi aspetti, sia un processo distruttivo e autonomo, nel momento in cui l’individuo non li elabora coscientemente lasciandoli operare autonomamente e in modo distruttivo dall’inconscio. La presenza di tali contenuti oscuri nei sogni è un buon segno perché dimostra che il sognatore è disposto a rapportarsi ad essi.

Secondo Jung quindi la radice del male sta nell’unilateralità psichica, mentre la salvezza è sempre nella totalità che comprende tutti gli aspetti della psiche, anche quelli considerati negativi.

Inoltre secondo Jung l’Ombra è un archetipo e come tale ha una componente storicizzata e una componente atemporale, il che rimanda alla distinzione tra struttura e immagine archetipica. Riguardo alla componente atemporale, essa consiste in una struttura archetipica che struttura la nostra esperienza su uno spettro di possibilità che vanno dal positivo al negativo, dal bene al male: l’archetipo Ombra comprende il polo negativo di tale spettro di possibilità. La componente storicizzata dell’archetipo Ombra e cioè le sue immagini archetipiche variano a seconda della cultura di appartenenza dell’individuo.

Ad esempio, nella storia del vecchio e del nuovo testamento possiamo rintracciare un processo di progressiva differenziazione tra dio e il diavolo. All’inizio i due opposti di bene e male coesistevano in un’unica rappresentazione. In seguito l’ambivalenza di Dio è scissa in un’immagine di padre buono e padre cattivo. Il Diavolo dunque è una personificazione dell’Ombra, ed è quindi un oggetto immaginifico (immagine archetipica) che racchiude in sé tutti gli aspetti oscuri della personalità, che nella coscienza collettiva cristiana sono costituiti dal desiderio, dalla corporeità, dalla trasgressione, ecc.

Riguardo poi all’aspetto storico dell’archetipo Ombra, e cioè all’immagine archetipica, vediamo che sebbene la modalità di strutturazione del mondo in bene e male sia presente universalmente in tutte le culture, non è altrettanto universale il cosa sia male e il cosa sia bene, e cioè il contenuto immaginifico, che varia a seconda della cultura e del periodo storico e quindi del tipo di coscienza collettiva. Ad esempio oggi la coscienza collettiva condanna azioni che una volta non erano considerate affatto riprovevoli.

Dal momento che l’Ombra è collegata alla rimozione, essa corrisponde all’inconscio freudiano (personale per Jung), ma dal momento che è anche un archetipo, essa corrisponde anche ad una dimensione collettiva inconscia (inconscio collettivo) e rappresenta la problematica assoluta del bene e del male che ogni singolo individuo vivrà attraverso i contenuti della sua storia infantile.

Per il principio Junghiano della compensazione la grandezza dell’Ombra è proporzionale allo splendore della Persona. A livello della Persona possiamo trovare soltanto i più alti valori collettivi, ma se l’individuo si identifica completamente con essi, avrà fallito sul piano dell’individualità, anche se sarà pienamente adattato e integrato al sociale. Nell’ombra invece si cela il più alto valore individuale dotato di una grande forza propulsiva e creativa, anche se dal collettivo è considerato privo di importanza, scomodo e minaccioso.

Non di rado siamo colpiti dall’atteggiamento “perfetto” di certi individui che sembrano alieni da qualsiasi cedimento; in realtà si tratta di una pericolosa rimozione dell’ombra che, proprio perché scissa dalla personalità (non è mai stata affrontata, elaborata coscientemente) dà origine a un’energia distruttiva e autonoma.

Fintanto che non ci troviamo in condizioni di stress e ci troviamo in assenza di tensione e conflitto, la nostra persona può rimanere integra e agiamo comportamenti in linea con le aspettative collettive. Ma basta attivare un istinto come quello della fuga di fronte ad un incendio o più semplicemente un complesso a tonalità affettiva, per innescare i comportamenti dell’Ombra.

Non c’è quindi molto da illudersi sulla fondamentale bontà della natura umana: la problematica del bene e del male è inalienabile all’uomo ed è un processo da cui nessuna esistenza può prescindere.

Mentre secondo Freud il prendere coscienza del male e cioè degli aspetti inconsci distruttivi ha l’effetto di ridimensionare o neutralizzare il “negativo”, secondo Jung l’elaborazione consapevole dell’Ombra (del “male” in noi stessi), non la neutralizza ma segna l’inizio di un processo di ampliamento della personalità dovuto all’integrazione di aspetti di Sé prima rimossi e autonomi.

Gli aspetti dell’Ombra possono essere rappresentati nei sogni, miti e fiabe. E’ assai frequente, in essi, trovare personificazioni dell’Ombra:a d esempio figure dello stesso sesso del sognatore - immagine del Doppio, archetipo dell’antagonista, animali filogeneticamente primitivi o repellenti, figure diaboliche e tutti i personaggi negativi appartenenti alla coscienza collettiva. Nelle fiabe poi gli archetipi vengono rappresentati in maniera molto nitida.

 


ANIMA / ANIMUS - LA PSICHE E LA SUA DIMENSIONE ETEROSESSUALE


Jung definisce l’Anima l’immagine del femminile che ogni essere umano di sesso maschile ha interiorizzato, mentre definisce Animus l’immagine maschile che ogni essere umano di sesso femminile ha interiorizzato. Nella sua opera ha privilegiato l’approfondimento del concetto di Anima.

Jung attribuisce all’Anima tre componenti:

1 - Componente archetipica - l’immagine del femminile proveniente dalle prime esperienze col materno, si strutturano su una categoria filogeneticamente predeterminata.

2 - Componente esperenziale - nel suo aspetto esperenziale l’Anima trae origine dalle prime esperienze infantili con figure femminili affettivamente significative, come la madre o un suo sostituto; è in tale relazione primaria che vengono interiorizzati gli aspetti femminili e negativi del materno; la madre personale media tutte le funzioni materne attivate dalla madre archetipica.

3 - Componente biologica - l’Anima è anche una manifestazione psichica dei nostri geni femminili.

Anima e animus rappresentano le istanze più profonde, ovvero più inconsce della personalità che automaticamente proiettiamo su quegli individui che ci forniscono un “aggancio”.

  •  SCELTE AMOROSE E RELAZIONI SENTIMENTALI

La teoria dell’anima permette di spiegare come si compiono le scelte amorose.

Il modo in cui percepiamo la realtà esterna infatti non dipende solo dagli oggetti esterni percepiti ma anche dal modo in cui essi vengono percepiti, che è soggettivo e dipende dalla propria interiorità.

Ciò si rende particolarmente evidente nelle relazioni amorose, quando siamo intensamente attratti da una persona.

Una relazione duale tra uomo e donna è in realtà un rapporto a quattro poiché all’interazione cosciente tra i due, si aggiunge l’interazione inconscia tra l’immagine d’Anima dell’uomo e l’immagine Animus della donna. La scelta del partner viene operata inconsciamente in base alla presenza di un “aggancio psicologico” tra il femminile interiore dell’uomo (Anima) e il maschile interiore della donna (Animus). Tale incastro relazionale darà luogo o ad una coazione a ripetere o a una trasformazione e questo dipenderà soprattutto dalla forza di ritirare le proiezioni e di divenire consapevoli delle caratteristiche controsessuali che proiettiamo e attribuiamo all’altro (e da altre numerose variabili intrapsichiche e relazionali). Se infatti l’immagine controsessuale interna si cristallizza in determinate caratteristiche negative, la scelta oggettuale sarà dominata dalla coazione a ripetere e molto probabilmente le relazioni si riveleranno esperienze autodistruttive.

 

 

 

DROGHE E SOSTANZE