MALATTIA DI ALZHEIMER o AD (ALZHEIMER DESEASE)


La malattia di Alzheimer è classificata, assieme alla malattia di Pick, alla demenza da corpi diffusi di Lewy e alla FLD, tra le demenze corticali.

Sul piano neuropatologico infatti la maggior parte delle lesioni degenerative alla base di tali disturbi sono a carico di strutture appartenenti alla neocorteccia e all’archicorteccia.

Sul piano neuropsicologico tale malattia consiste in un deterioramento progressivo di numerose funzioni cognitive, tra cui la memoria, il linguaggio, le abilità visuo-spaziali e l'attenzione.

DEFINIZIONE

Per tutti i disturbi per i quali non è a disposizione un’eziologia ben definita, come nel caso della malattia di Alzheimer, il concetto di definizione è assai prossimo a quello di descrizione.

Una definizione descrittiva di tale malattia è la seguente: la malattia di Alzheimer è un Deterioramento Demenziale cronico-progressivo ad esordio strumentale o retrorolandico, che origina in seguito a lesioni esclusivamente corticali e i cui caratteri distintivi sono di natura quasi esclusivamente neuropsicologica.

Sul piano comportamentale si traduce in una incompetenza cognitiva ecologica pluri-settoriale con un andamento evolutivo peggiorativo che si verifica nell'arco di 6-12 mesi dall'inizio stimato dei primi sintomi, dovuto al sommarsi di molteplici deficit di tipo neuropsicologico.

In generale l’AD va sospettata in quei soggetti di età superiore ai 40-45 anni di età, con funzione di vigilanza integra che presentino i seguenti disturbi neuropsicologici:

–         Disturbi della memoria anterograda e retrograda, episodica, semantica e talvolta procedurale, con un’evoluzione peggiorativa di entità tale da compromettere la vita normale del paziente.

–         Disturbi delle funzioni strumentali, come ad esempio quella linguistica o quella delle abilità visuo-spaziali, a seconda della localizzazione emisferica delle lesioni.

–         Disturbi delle funzioni di controllo cognitive, come ad esempio l'attenzione, la motivazione e l'intelligenza.

–         Disturbi di ordine psichiatrico come ad esempio disturbi d'ansia, depressione e talvolta manifestazioni psicotiche.

Tipicamente i primi due tipi di disturbo, a differenza degli ultimi due, sono essenziali per la diagnosi di AD.

DIAGNOSI  ISTOPATOLOGICA

Sinteticamente la malattia di Alzheimer presenta le seguenti caratteristiche neurobiologiche:

progressiva estensione di lesioni degenerative neuronali con conseguente sfoltimento di alcune popolazioni neuronali e quindi atrofia cerebrale che può portare ad una riduzione del peso dell'encefalo del 6-15% in più rispetto a quello legato al normale invecchiamento.

Sul piano istopatologico l'atrofia colpisce prevalentemente i grossi neuroni che svolgono principalmente la funzione di connessione intra-corticale. Nelle fasi precoci tali neuroni presentano una riduzione delle loro arbotizzazioni dendritiche, che nelle fasi successive progressivamente degenerano.

L’atrofia è determinata da degenerazioni endo ed extra-neuronali: le prime, più frequenti e diffuse, sono dovute a grovigli o viluppi neurofibrillari che compromettono il citoscheletro della cellula e che a loro volta sono determinati da alterazioni del metabolismo proteico intracellulare.

Le degenerazioni extra-neuronali più frequenti sono le placche argirofile o senili che derivano dalla convergenza di assoni colinergici ad origine sottocorticale; ciò porta ad una diminuzione della disponibilità di acetilcolina nella rete neuronale locale.

Riguardo all'attendibilità effettiva della diagnosi istopatologica, bisogna considerare che, i segni istopatologici quantitativamente e qualitativamente simili a quelli riscontrati nei pazienti di Alzheimer, possono riscontrarsi anche in soggetti molto anziani e cognitivamente normali ad un esame neuropsicologico approfondito.

Ciò non toglie che nella maggior parte dei casi i pazienti AD mostrano segni istopatologici marcatamente più evidenti rispetto a quelli dell’invecchiamento fisiologico.

EVOLUZIONE DELLA DEGENERAZIONE CORTICALE E DEI SINTOMI

In una prima fase dell’AD si osservano deficit prevalentemente strumentali da compromissione parieto-temporale, e cioè delle aree associative retro-rolandiche considerate come il substrato neuronale delle funzioni strumentali, in primis la funzione mnestico-ippocampale.

La progressiva degenerazione neuronale compromette il colloquio inter-neuronale di tali strutture con conseguente compromissione delle prestazioni da esse mediate, soprattutto quelle strumentali automatizzate, in termini di errori e di aumento della latenza della risposta.

Per far fronte a queste carenze il sistema attentivo potenzia il suo controllo su tali attività che per tale ragione regrediscono da prestazioni automatiche a prestazioni controllate.

In tal modo però vengono sottratte le necessarie risorse attentive a tutte quelle funzioni che in condizioni normali, per poter funzionare, non ne possono fare a meno: è il caso delle funzioni che mediano i nuovi apprendimenti, la soluzione di problemi nuovi, la rievocazione attiva dalla MLT, ecc.

Tutte queste funzioni quindi, nelle prime fasi della malattia, risultano essere compromesse a causa di un deficit attentivo da carenza di risorse attentive e non da compromissione della stessa funzione attentiva mediata ancora da una corteccia prefrontale integra.

In uno stadio più avanzato si aggiunge la compromissione della stessa funzione attentiva a causa dell'estensione del processo degenerativo alla corteccia prefrontale. Tutte le prestazioni ora risultano compromesse e il paziente diviene sempre più reattivo ai soli stimoli ambientali ai quali risponde in modo stereotipato e povero, sino allo stadio terminale, in cui si ha una totale assenza della funzione attentiva, della motivazione e dell'intenzionalità, condizione definita «morte cognitiva» o «morte psicologica».

NEUROTRASMETTITORI

Per quanto riguarda gli aspetti neuro-trasmettoriali nell’AD, almeno nelle fasi iniziali della malattia, l'ipotesi colinergica sembra mantenere un certo valore esplicativo.

E’ noto infatti che l’AD, a seconda dello stadio di avanzamento della malattia, sia caratterizzato da una riduzione dell’acetilcolina corticale che può raggiungere valori tra il 50 e il 60%.

Tuttavia la riduzione neurotrasmettoriale coinvolge tutti i neurotrasmettitori prodotti a livello sottocorticale, come la noradrenalina e la dopamina.

Si ritiene dunque che le alterazioni neurotrasmettoriali tipiche dell’AD siano dovute alla carenza di tutti questi neurotrasmettitori, il che tra l'altro spiegherebbe la scarsa efficacia dei trattamenti acetilcolino-mimetici.

 AREE CEREBRALI COLPITE

Le aree maggiormente colpite dall'atrofia nell’AD sono le seguenti:

–        Neocorteccia associativa: è noto, dalle osservazioni condotte attraverso TAC, MRI e PET, che il processo degenerativo tipico dell’AD interessi inizialmente le aree retro-rolandiche temporo-parietali per poi estendersi, in una fase più avanzata, anche alle aree associative prefrontali. A tale modalità di evoluzione degenerativa corrisponde una tipica evoluzione dei deficit osservabili. Le aree colpite per prime sono anche quelle più danneggiate alla fine della malattia.

–        Formazione ippocampica e regione paraippocampale.

-           Corteccia cingolata.

-           Amigdala.

-           Locus Coeruleus e nucleo basale di Meynert.

STUDI EPIDEMIOLOGICI

Dagli studi epidemiologici sull’AD è emerso quanto segue:

 -           L’incidenza nella popolazione generale è compresa tra il 2,5 e il 5%, ed in particolare è dell’1% negli ultra sessantacinquenni e del 3,5% negli ultra ottantacinquenni.

-           Non c’è alcuna differenza per quanto riguarda fattori economici, legati alla razza, fattori climatici e geografici, e la presenza di disturbi psichiatrici. Una correlazione significativa è stata osservata solo in base all'età del paziente, alla presenza di casi di AD in famiglia, a presenza di trisomia 21 ed anche al livello culturale. Sembra infatti che l’AD compaia assai più tardivamente negli individui colti rispetto a quelli meno colti, come se la cultura conferisse al cervello una maggiore resistenza ai danni della malattia di Alzheimer.

-           L’AD costituisce circa il 60-85% di tutte le demenze.

MORBILITA’

La malattia di Alzheimer attualmente non è curabile e presenta quindi un esito negativo con la morte del paziente.

Tipicamente, dopo 5 anni dall'inizio delle prime manifestazioni comportamentali,  circa il 50% dei pazienti muore; dopo 10 anni rimane in vita solo il 25%, dopo di che tale percentuale decresce rapidamente.

Poiché tuttavia le regioni corticali associative non sono essenziali per lo svolgimento delle funzioni vitali di base, la loro lesione non è la causa diretta della morte di questi pazienti, che invece è dovuta ad infezioni di vario genere, tra cui predominano quelle polmonari, conseguenti ad uno stato di deperimento fisico generale che di solito dura circa un anno.

Il problema più grande di questi pazienti infatti è l'incapacità di prendersi cura del proprio corpo ed anche di richiedere l'aiuto degli altri; la loro sopravvivenza dunque è strettamente legata al livello di assistenza a cui essi possono accedere.

Alcuni studi infatti hanno evidenziano solo una piccola differenza tra la sopravvivenza di pazienti con AD e quella di pazienti non dementi.

PROGNOSI

Posto che il ritmo di progressione della malattia di Alzheimer varia da individuo a individuo, esso, in termini generali, può essere previsto sulla base della presenza o meno di alcuni elementi:

 –         L'esordio precoce sotto i 55 anni è solitamente l'indice di un futuro peggioramento più marcato rispetto agli esordi senili oltre i 75 anni.

–         La comparsa nei primi cinque anni della malattia dei cosiddetti segni extra-piramidali, come il mioclono, i disturbi posturali, la rigidità e la bradicinesia, sono indice di un’evoluzione più rapida.

 –         La presenza di disturbi psicotici sono indice di un più rapido peggioramento.

–         La presenza di deficit del linguaggio insorti precocemente sono indice di un futuro peggioramento più rapido.

 

 

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